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Sèneca, Lùcio Anneo.

(detto il Filòsofo).Filosofo e scrittore latino. Di origine iberica, secondogenito di Seneca il Retore, giunse a Roma ancora fanciullo e ricevette una completa formazione retorica che egli completò con un appassionato tirocinio filosofico sotto la guida dello stoico Attalo e alla scuola stoico-pitagorica dei Sesti, con Papirio Fabiano e Sozione. Da questi assimilò alcuni temi fondamentali della sua speculazione filosofica: la preminenza della sfera etica e l'obiettivo dell'elevazione spirituale, anche se in seguito ripudiò il loro disprezzo per la vita pratica e la politica. Dopo un soggiorno in Egitto, fece ritorno nel 31 a Roma e intraprese la carriera pubblica, ottenendo la carica di questore (per alcuni alla fine del Regno di Tiberio, per altri all'inizio di quello di Caligola). Grazie alla sua brillante eloquenza fu ben accolto nell'ambiente di corte, ma nel 39, sembra a seguito di un discorso in Senato fortemente sgradito all'imperatore, rischiò la condanna a morte. Nel 41, sotto l'imperatore Claudio, fu invece accusato ingiustamente di adulterio con Giulia Livilla, sorella di Caligola, e condannato all'esilio in Corsica. Il filosofo rimase in esilio fino alla morte di Messalina, sua accusatrice e moglie di Claudio: nel 49 fu richiamato a Roma e riprese una posizione di grande potere grazie ad Agrippina minore, seconda moglie di Claudio, che affidò a S. l'educazione di suo figlio Lucio Domizio Enobarbo (il futuro Nerone), avuto da un suo precedente matrimonio. Nerone, adottato nel 50 da Claudio, ne sposò la figlia Ottavia nel 53 e nel 54, alla morte dell'imperatore, assunse, a soli 17 anni, il titolo imperiale. S. già pretore nel 50, fu console nel 56 e, appoggiato politicamente dal prefetto del pretorio Afranio Burro, volle sottrarre il giovane imperatore all'influenza materna, divenendone il principale consigliere. I primi anni del Regno di Nerone sembrano portare, infatti, l'impronta di S.: secondo il modello stoico del re giusto, S. guidò gli atti di Nerone verso una riconciliazione tra Senato e imperatore, cercò di improntarne la condotta alla giustizia, alla clemenza e a gesti di favore verso la plebe. Ciò nonostante il filosofo dovette moderare il suo giudizio di fronte a numerosi e sanguinari intrighi di corte orditi dal suo allievo: tra gli altri, l'assassinio di Britannico, figlio di Claudio, ordinato da Nerone nel 55, e quello di Agrippina, avvenuto nel 59. S., che spesso si piegò a giustificare anche pubblicamente tali atti, finì per essere coinvolto, agli occhi dell'opinione pubblica romana, nei delitti di Nerone. Tuttavia, dopo la morte di Burro nel 62 e l'elezione alla carica di prefetto del pretorio di un uomo come Tigellino, S. comprese che non vi era ormai più spazio per la sua opera e decise di ritirarsi a vita privata. Il suo grado di compromissione era però ormai troppo elevato: già una volta nel 62 fu accusato di tramare contro Nerone e riuscì a stento a provare la sua innocenza. Nel 65 S. fu denunciato come membro della congiura di Calpurnio Pisone, cui invece non aveva partecipato: ricevuto da Nerone l'ordine del suicidio, vi obbedì e la sua morte fu scelta da Tacito a tema di una delle più famose pagine dei suoi Annales. ║ Opere: S. fu scrittore prolifico, ma della sua vasta produzione non tutto ci è stato tramandato in modo completo. I Dialogorum libri comprendono dieci opere, anche se non tutte appartengono realmente al genere letterario del dialogo: la Consolatio ad Marciam, dedicata a Marzia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, fu composta forse nel 37, per consolare la donna della morte di suo figlio Metilio; il De ira (41 circa), dedicato al fratello Anneo Novato, analizza l'ira come una malattia dell'anima e ne indica i rimedi; la Consolatio ad Helviam matrem fu scritta da S. alla madre durante l'esilio in Corsica, per alleviarne la preoccupazione; la Consolatio ad Polybium, dedicata a Polibio, liberto di Claudio, in occasione della morte del fratello: l'opera conteneva anche una supplica perché il potente liberto intercedesse presso l'imperatore per il suo rientro dall'esilio; il De brevitate vitae (dedicato a Pomponio Paolino), in cui il filosofo, riflettendo sul problema del tempo, afferma che una vita saggiamente condotta non può dirsi breve; il De constantia sapientis (dedicato ad Anneo Sereno), esaltazione della figura del vero stoico; il De vita beata (dedicato al fratello Anneo Novato), centrato sul tema della vera felicità, che la visione stoica fa coincidere con la virtù; il De tranquillitate animi (dedicato ad Anneo Sereno), che tratta della serenità interiore che lo stoico ottiene grazie alla sua coerenza; il De otio (dedicato ad Anneo Sereno), che giustifica l'otium del sapiente, cioè la vita contemplativa lontana dagli impegni politici, in base alla dottrina stoica; il De providentia (dedicato a Lucilio), imperniato sulle problematiche tipicamente stoiche della provvidenza divina e della sua conciliazione con il male che colpisce anche gli uomini buoni. Il trattato De clementia (55-56) fu concepito in tre libri, di cui si sono conservati solo il primo e sette capitoli del secondo: dedicato a Nerone costituisce un'esposizione significativa del pensiero politico di S., che vede nella Monarchia guidata dal rex iustus la migliore forma possibile di governo. La clemenza e la moderazione che un re giusto esercita nei confronti dei suoi sudditi producono in questi ultimi fiducia e benevolenza nei confronti del sovrano, assicurando la cooperazione e l'armonia all'interno dello Stato. Gli anni del ritiro dalla vita politica consentirono a S. la stesura delle sue opere di più ampio respiro: il De beneficiis (7 libri) analizza la funzione sociale e relazionale del beneficio, che instaura un legame duraturo tra le persone; le Naturales quaestiones (7 libri), dedicate a Lucilio, nell'intento di liberare gli uomini da superstizioni e timori causati dall'ignoranza intorno alla natura, esaminano e descrivono fenomeni fisici, meteorologici e astronomici. Le Epistulae morales ad Lucilium (complessivamente 124 lettere, raccolte in 20 libri), indirizzate all'amico, furono scritte tra il 62 e il 65 e trattano di svariati argomenti filosofici ma soprattutto morali. Insieme a quelle di Cicerone, esse rappresentano una delle più importanti raccolte epistolari dell'età classica, destinate ad avere notevole influenza sugli scrittori delle generazioni successive. S., tuttavia, si cimentò anche in generi letterari diversi da quelli tradizionalmente filosofici, quali appunto i trattati e i dialoghi: alla morte di Claudio, compose la celebre satira menippea (misto di prosa e versi) Apokolokýntosis divi Claudii, in cui egli sfogò il suo risentimento contro l'imperatore con graffiante sarcasmo. S. ha composto nove tragedie, le sole che ci sono pervenute dell'intera produzione tragica latina: esse hanno argomento greco, come suggeriscono gli stessi titoli (Hercules furens, Troades, Phoenissae, Medea, Phoedra, Oedipus, Agamemnon, Thyestes, Hercules Oetaeus). Una decima tragedia, pretesta (cioè di argomento romano), dal titolo Octavia (che narra dell'uccisione della moglie da parte di Nerone e che vede lo stesso S. come uno dei personaggi) è stata a lungo attribuita al filosofo, ma è oggi concordemente ritenuta spuria. In epoca medioevale trovò credito la notizia di una conversione del filosofo al Cristianesimo, suffragata dalla diffusione di un epistolario tra S. e san Paolo, oggi perduto ma riconosciuto come sicuramente apocrifo già da Lorenzo Valla. Tuttavia, alcuni studiosi cattolici ritengono verosimile che siano effettivamente intercorsi rapporti o contatti tra i due uomini, fatto che spiegherebbe alcuni tratti della religiosità senechiana affini alle dottrine cristiane allora predicate. Lo stile letterario di S. rappresenta un modello opposto e alternativo a quello dispiegato, logico e simmetrico della prosa classica: egli scardinò la concinnitas ciceroniana, preferendo alla razionale simmetria delle subordinate nessi più arditi, derivanti da giustapposizione logica delle frasi più che da reali legami sintattici. In lui prevalgono brevi elementi sintattici, il virtuosismo dei parallelismi e delle figure di senso, la concettosità quasi barocca dell'epigramma. ║ Lo stoicismo di S.: con Marco Aurelio, S. fu il massimo rappresentante dello stoicismo romano, noto anche come Nuova Stoà. Nella costruzione del suo sistema di pensiero, S. non perseguì la sistematicità: logica e fisica lo interessarono solo in quanto presupposti necessari all'etica. Né la fisica né la metafisica di S. introducono infatti concetti originali: l'anima è vista secondo la partizione platonica (razionale, irascibile e appetitiva) e platonica è la definizione del corpo come prigione dell'anima stessa. La filosofia di S., invece, si caratterizzò per l'esclusivo fine pratico, cui l'interesse speculativo era subordinato, massimamente espresso dalla tematica religiosa e dalla centralità che in essa assume l'interiorità spirituale del singolo individuo: partendo dall'antica concezione stoica dell'autosufficienza del saggio che ricava da sé la verità, S. elaborò infatti il concetto di introspezione e di coscienza, mediante la quale l'uomo può rintracciare nel suo intimo la divinità. Il sapiente è per S. colui che, facendo della filosofia la norma morale della propria esistenza, realizza compiutamente la propria natura razionale (logos). Riconoscendo in sé un frammento del logos universale, il saggio stoico non teme nulla e nulla spera perché cosciente che la provvidenza divina gli ha assegnato un giusto posto nella natura. S. smorza la rigida partizione del precedente Stoicismo tra il saggio che segue la ragione e la massa degli uomini irrazionali, guardando con indulgenza alle imperfezioni e agli errori di tutti: per lui ogni uomo oscilla tra bene e male e deve impegnarsi senza sosta. Uno dei concetti fondamentali della filosofia di S. è la parentela universale tra gli uomini, a sua volta fonte di comprensione, solidarietà e vicinanza: la fraternità e l'amore tra gli uomini, il cosmopolitismo, l'eguaglianza dell'unica natura che accomuna nobili e schiavi, la necessità della clemenza e della moderazione nel governo dei cittadini sono temi che sostanziano la vicinanza tra S. e le nascenti dottrine cristiane. Molti infatti sono i punti dello Stoicismo eclettico a sfondo religioso di S. che possono essere accostati al Cristianesimo: la vicinanza di dio all'uomo, la sua onnipotenza e provvidenza, la possibilità per l'uomo di partecipare alla vita divina, la speranza nella vita ultraterrena. Altri elementi sono invece più schiettamente stoici e meno legati alle categorie della nuova religione: interiorizzazione della divinità nell'uomo stesso, la coscienza individuale come unico fondamento della legge morale. Correggendo il carattere individualista del precedente Stoicismo, e ritenendo che compito del filosofo fosse quello di “educare il genere umano non al dire ma al fare”, S. affermò il dovere morale del saggio di servire la comunità e lo Stato, sia come politico sia come privato cittadino (Córdoba 4 a.C. circa - Roma 65 d.C.).